Il Re Felice


di Michael Rosen, 1986, tradotto da Tatiana Pelizzon

C’era una volta un re che era molto ricco e grasso. Era ricco perché molta gente lavorara per lui ed era grasso perché mangiava e beveva molto. Ma era anche un re piuttosto occupato. Ogni giorno andava in giardino per vedere i suoi giardinieri che facevano crescere le fragole, le ciliegie e le albicocche. Ogni giorno andava a vedere i suoi tessitori che gli facevano le camicie di seta ed ogni giorno andava a vedere i suoi falegnami che gli facevano i letti, le tavole, le scale e i tetti per tutte le sue case. Ovunque andasse portava con sé il suo veccio amico il ciambellano. Questo vecchio amico era quasi tanto felice come il re o almeno doveva fare finta di esserlo perché ovunque il re andasse doveva cantargli le sue due canzoni preferitie: Felicità e Il Ballo del Qua Qua.

Un giorno prima che il re grasso e felice e il ciambellano venissero a fargli visita, un giardiniere, un tessitore e un falegname si sedettero a parlare.

Toni, il giardiniere, parlò per primo:

“Che cosa strana, ragazzi, in tutti questi anni ho raccolto tonnellate e tonnellate di albicocche dagli albicocchi dei giadini del re eppure sono riuscito a mangiarne solo tante quante non basterebbero nemmeno a riempire le mie mani.”

E poi Gino, il tessitore, parlò:

“ Bah Toni, non so te ma io ho tessuto tanta di quella seta da poterci arrivare al mare e pure tornare indietro e non ho abbastanza tela, altro che seta, per coprire i miei pantaloni bucati.”

E infine Peppe, il falegname:

“Ma che parlate a fare! Venite a casa con me stasera e vi faccio vedere la cosa piú preziosa che abbiamo: un tavolo con tre gambe! Quando ceniamo facciamo a turno per fare la quarta gamba. Mi viene male se penso a tutto il legno usato per costruire le scale che vanno fino alla sua camera.”

“Lo vado a dire al re,” disse Toni. “È un uomo buono quando sentirà che fame ho patito queste ultime settimane, capirà e ci darà  un po’ di  soldi in piú.” Cosí fu che Gino , il tessitore, disse che avrebbe detto al re dei suoi pantaloni bucati e Peppe che gli avrebbe raccontato della sua tavola con tre gambe.

Quel giorno quando il re arrivò nel giardino, Toni cominciò:

“Maestà,” disse.

“Caro vecchio Toni” gridò il re “Come stai?’

“Non c’è male Maestà. Stavo pensando Maestà se…”

“Cantagli una canzone ciambellano” gridò  il re, “Non ti preoccupare Toni, tutti pensiamo, tutti ci domandiamo.”

Il ciambellano cantò  Fin che la barca va.

“Canta anche tu Toni” disse il re “è  una bella canzone d’altri tempi”.

Cosí Toni, il re e il ciambellano cantarono Fin che la barca va.

“Adesso torna a lavorare Toni, vecchio  mio” disse il re voltandosi verso il ciambellano “Grande uomo il vecchio Toni!”

Poi arrivarano da Gino, il tessitore di seta.

“Come ti va Gino?” disse il re tutto allegro.

“Oh non c’è male Maestà, grazie”.

“Bene, bene” disse il re “Mostraci quello che hai fatto oggi.”

Gino si alzò e li portò al suo telaio e mentre camminava il re vide il buco nei suoi pantaloni e scoppiò a ridere.

“Povero Gino! Ma lo sai che hai un buco grande così nei pantaloni e si vede il tuo sedere?”

“Si Maestà” disse Gino “Lo so e stavo per chiedervi se…se…”

E il ciambellano cominciò a cantare.

“Questo è il ballo del qua qua
e di un papero che sa
fare solo qua qua qua
più qua qua qua”

Risero tutti di gusto e Gino tornò a lavorare.

“Grande il vecchio Gino!” disse il re al ciambellano e poi andarano a vedere Peppe.

Quando arrivarono al laboratorio di Peppe lui non c’era.

“Sarà dietro l’angolo” disse il ciambellano.

“Beh, non mi piace aspettare” disse il re. “Voglio vedere il mio letto nuovo. Peppe! Peppe!”

Il re gridò ma non ci fu risposta. Il cappotto di Peppe era appeso alla porta e la sua borsa di attrezzi era sulla panca, il re si diresse verso la panca e guardò nella borsa. E lì trovo un pezzo di legno stagionato. Era un pezzo di quercia dei boschi del re.” Proprio in quel momento, Peppe entrò.

“Che cos’è questo” chiese il re.

A Peppe non venne in mente niente da dire.

“E un…un burlotto….un travinculo…Maestà.”

Il re felice si rivolse al ciambellano. “Che cosa pensi che sia?” disse.

“È un pezzo di una vostra quercia, Maestà” disse il ciambellano.

“Bene, bene, bene” disse il re e rise in modo cattivo. “Che vecchio stupidone sei Peppe! Ditegli ciambellano quanto è stupido!” Così il ciambellano si mise a cantare una canzone chiamata Ventiquattromila baci e mentre cantava prese un coltello e tagliò via un orecchio a Peppe.

“Questo perché non c’eri quando siamo arrivati” disse il re “la prossima volta quando ti chiameremo ci sentirai, non è vero?” Il re rise alla sua battuta mentre il ciambellano cantava:

Amami,
ti voglio bene !
Con 24000 baci oggi saprai perché l’amore
vuole ogni istante mille baci.

E mentre cantava gli ultimi versi il ciambellano taglio la lingua a Peppe.

“Questo perché quello che hai detto non ha senso” disse il re.

A quel punto il ciambellano stava per mozzare la mano di Peppe, perché questo faceva di solito quando qualcuno si appropriava del legno del re o dei suoi uccelli, dei suoi conigli, o di qualunque cose venisse dai boschi del re. Ma questa volta il re lo fermò. “No ciambellano! Lasciali la mano. Ne avrà bisogno per finire di farmi il letto nuovo. Ma finisci la canzone, caro amico, non vogliamo mica perdercela.” Così il ciambellano finì la canzone:

Con 24000 baci felici corrono le ore
d’un giorno splendido perché
con 24000 baci tu m’ hai portato alla follia.
Con 24000 baci ogni secondo bacio te !

Dopo di che, il re felice e il ciambellano obbediente se ne andarono lasciando Peppe in piedi in mezzo al laboratorio con il sangue che gli colava dalla testa.

“Quello stupidone di Peppe”, disse il re al ciambellano. “Mah, la prossima volta saprà come comportarsi. Se gliela avessi fatta passare liscia con quel pezzo di legno ne avrebbe rubati altri, e altri ancora e poi avrebbe avuto così tanto legno da non aver piu bisogno di lavorare per me, non è vero? E allora non avrei piu nessuno per farmi i letti e gli armadi e i cassettoni, le tavole e le mie belle, bellissime sedie, non è vero?”

“No Maestà, avete ragione” disse il ciambellano mentre ripuliva il coltello reale dal sangue di Peppe “inoltre, Maestà, sara una bella lezione per tutti gli altri sudditi.” Il re sorrise beato.“Ho fatto un buon lavoro oggi ciambellano” disse.

“Sí, avete fatto un buon lavoro oggi” disse il ciambellano.

“Giustizia è stata fatta. Non è vero ciambellano?”

“Giustizia è definitivamente stata fatta, mio Signore” disse il ciambellano.

E così cavalcarono verso il palazzo. E mentre cavalcavano, uno accanto all’altro, attraverso i campi e le strade che conducevano a palazzo, né il re né il ciambellano videro le centinaia di aratori, panettieri, serve, mendicanti, vaccari e sarti che avevano anche loro come Peppe, il falegname, provato la giustizia del re. Mentre cavalcavano né il re né il ciambellano udirono quello che questa gente si diceva. Il re felice e il suo ciambellano non potevano proprio immaginare quello che questa gente stava immaginando: che il giorno sarebbe arrivato quando le buone parole del re e la sua giustizia sarebbero state fermate.

Per Tarek el-Tayyib Mohamed Ben Bouazizi ( 29 Marzo, 1984 – 4 Gennaio, 2011)